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MARTEDÌ , 2
NOVEMBRE 2004 |
Il sogno della
bicicrazia
contro un mondo
a quattro ruote
Nel saggio
di Sovilla i costi sociali
della motorizzazione. E le nuove
schiavitù
nel nome dell'automobile
Pagina 48 - Cultura e Spettacoli
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di Alessandro
DellAira
Il socialismo
può arrivare solo in bicicletta. Così
la pensava un ministro di Salvador
Allende. Chissà se è vero, chissà se
il socialismo lo vedremo spuntare su un
argine, arrancando alla disperata come
don Camillo, o se il sol dell'avvenire
taglierà il traguardo in salita volando
come un Pirata, in piedi sui pedali e
abbrancato al manubrio. Chissà.
Certamente su qualche piazza il
socialismo è arrivato in autoblindo. Da
Henry Ford in poi tutto il potere ce
l'hanno i motori e le auto, che si siano
chiamate o si chiamino maggiolini,
cavallini, balille, cadillac o due
cavalli. Ogni fratello grande o piccolo
ne ha una in garage o sotto casa.
Autocrazia, altro che bicicrazia.
C'era una volta un libro del sessantotto
intitolato «Uomo o automobile?»
L'editore, Gherardo Casini, proponeva dei
saggi sull'automobilismo di massa. Erano
anni di aut aut, di domande radicali e
autori vari. Nel nostro caso la domanda
era: diverremo schiavi di una macchina
che abbiamo inventato per essere più
liberi? A distanza di anni, ubriachi di
monossido di carbonio, quella domandina
non ce la poniamo più, o forse sì, di
domenica, quando restiamo bloccati per
ore in autostrada, e il lunedì ci suona
retorica, infantile, deteriore,
provocatoria e fastidiosa. Quel libretto
era già un fondo di magazzino vent'anni
fa, quando Zenone Sovilla, futuro autore
di «Bicicrazia», lo scovò in un
catalogo e lo comprò a metà prezzo per
posta. Si era a metà strada tra la prima
crisi del petrolio e la prima guerra del
Golfo.
Quasi più nessuno prende sul serio quel
ministro cileno. Eppure il rifiuto
dell'auto può diventare una forma di
protesta civile contro l'autocrazia.
Certo, se andare in bici tra i camion
può costarti la vita, trovi più
conveniente salvare la pelle oggi e
protestare domani in altro modo. Questa
idea ti viene anche perché l'auto, oltre
che essere una perfetta macchina di
Faraday, è il ventre di tua madre, la
tua personal discoteca mignon, una cosa
che se ce l'hai lei ti sposa, un'alcova
di fortuna, un simbolo di stato sociale,
l'oggetto del tuo desiderio anticipo zero
che merita un programma di spesa in
quarantotto rate mensili senza interessi.
E' diventata tutto e il contrario di
tutto, spesso anche l'unico modo per
andare al lavoro senza uscire di casa
all'alba con il resto della famiglia su
un mezzo che non guidi tu. Così ti
rassegni e non sai che in Italia ci sono,
anzi c'erano sette anni fa, come risulta
dall'ultimo Rapporto nostrano sui costi
sociali dei mezzi di trasporto, 31
milioni di automobili come la tua, ti
rassegni e non sai che in media per fare
un'auto non ci vuole un fiore ma la
bellezza di 685 chili di acciaio, 117 di
ghisa, 43 di alluminio, 8 di rame, 49 di
vetro, 105 di plastica, 35 di gomma, 57
di vernici, più batteria, pneumatici e
liquidi vari, al netto di un prelievo di
103 metri cubi d'acqua per il processo, e
di qualcosa come 4 tonnellate di anidride
carbonica immesse nell'atmosfera, più
190 chili di rifiuti terrestri non
riciclati. La nostra scuola si è messa a
produrre a palate patenti per il
motorino, come patenti di civismo, e di
solito non insegna che un motorino ha
costi esterni specifici enormi, in
proporzione più alti di quelli di
un'auto.
Dopo aver fornito questi dati, Zenone
Sovilla in «Bicicrazia» (Nonluoghi
Libere Edizioni, prefazione di Michele
Boato) fa una carrellata sull'uso della
bicicletta in altri paesi. Nel suo saggio
di centocinquanta pagine, presentato ieri
pomeriggio a Trento presso Il Punto
Einaudi in Piazza della Mostra, c'è
tutto questo ed altro. Sovilla,
bellunese, come il trentino Ulisse
Marzatico è uno che va sempre in giro in
bici pedalando per la libertà, e che
quando lo vedi arrivare ti fa sentire un
verme e un padrone del vapore anche
sull'autobus.
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