GIOVEDÌ, 30 DICEMBRE 2004

Nel mondo dei Nuba
il popolo che lotta
per non scomparire


Pagina 48 - Cultura e Spettacoli

IL LIBRO-APPELLO DI RENATO KIZITO SESANA
 
 





 
 


I NUBA lottano per non sparire dal mondo e dalla storia. Vent’anni di guerra civile, dieci anni di rappresaglie dell’esercito di Karthoum farcito di esperti militari libici. In molti fuggono oltre confine, dal sud del Sudan, per evitare gli stupri. Altri hanno il corpo straziato dagli esplosivi, come le donne che accudiscono i figli usando i moncherini e si rifiutano di soccombere, perché Nuba è sinonimo di gente che ne ha passate tante e non si arrende. Di questo genocidio in Europa si sa poco. A colmare il vuoto, a permetterci di colmare la nostra ignoranza di occidentali, ora c’è “Io sono un Nuba. Dalla parte di un popolo che lotta per non scomparire” (Sperling & Kupfer Editori, 262 pagine, 15 euro), l’ultimo libro del comboniano Renato Sesana, detto Kizito dal nome di un martire ugandese del 1986.

 
 
 

  di Alessandro Dell’Aira

 


EX OPERAIO della Moto Guzzi di Mandello, sessantadue anni, di Lecco, Sesana si è trasferito in Africa nel 1977 dopo aver diretto per due anni a Verona la rivista dei comboniani “Nigrizia”. In Zambia e in Kenya si è dedicato ai bambini di strada dando vita alla comunità “Koinonìa”, attiva ora anche in Sudan. Da Nairobi, dove risiede dal 1988 e ha fondato il periodico “New People”, raggiunge spesso le tribù sudanesi tra le quali diffonde la cultura della pace. Ha ideato la formula del microcredito ai disederati di Kivuli, alla periferia di Nairobi. Gestisce un sito web accattivante, http://www.amaniforafrica.org : Amani in lingua kiswahili vuol dire infatti pace.
Perché dei Nuba non si parla? La colpa, dice Kizito, è dei signori del petrolio ma anche della pigrizia dei giornalisti. C’è stato un momento di grazia con le foto spettacolari della tedesca Leni Riefenstahl, recentemente scomparsa, ma si può dire che oggi uno dei principali tutori dei Nuba presso l’opinione pubblica internazionale sia proprio Kizito. La sua azione regolare, alla lunga più efficace dei fuochi di paglia, fa leva sull’informazione programmata. Lui sta dalla parte dei Nuba, detti “il popolo dalle novantanove lingue” forse perché tra il quinto e il terzo millennio avanti Cristo, quando il Sahara non era ancora il deserto che è, i Nuba si mossero con altre popolazioni dall’Africa centrale e confluirono nell’Alto Nilo.
La loro storia di sofferenza e schiavitù riassume la storia dell’Africa intera. C’è un nesso forte tra la Nubia dei faraoni e i monti Nuba, anche per l’assonanza del nome il cui significato oscilla tra “terra dell’oro” e “terra degli schiavi”. Da sempre i Nuba sono stati oggetto di proprietà, sfruttamento e commercio da parte dei loro oppressori. L’antropologo Ronald Stevenson, vent’anni fa, ha fatto il punto sulla questione fornendo spunti essenziali ai nuba che hanno preso coscienza per primi della propria identità e a loro volta hanno dato compattezza alle migliaia di loro fratelli che vivono in una regione grande come Sicilia e Sardegna.
Così continua l’opera intrapresa da Daniele Comboni di Limone sul Garda, primo vescovo di Karthoum, che già nel 1850, quando studiava a Verona, aveva conosciuto un Nuba affrancato dalla schiavitù e adottato dai conti Miniscalchi. Dopo trent’anni Comboni si era guadagnato la fiducia dei Nuba nella loro patria e ne aveva ricavato un’impressione di affinità intellettuale con gli europei, in parte condizionata dall’incontro giovanile ma fondata su una valutazione attenta della loro cultura. Lo stesso percorso, con un approccio critico ispirato alle odierne scienze sociali e della comunicazione, segue oggi il comboniano Kizito, il quale trova affinità tra i quilombos, i villaggi autonomi fondati nella giungla brasiliana dagli africani che sfuggivano alla schiavitù delle piantagioni, e gli attuali insediamenti Nuba, abitati da gente che non finisce di stupirsi per l’interesse manifestato da un europeo per il loro mondo.
Kizito ha un’ostinazione tutta speciale. Non ha mai interrotto il dialogo neppure in tempo di sequestri dei missionari. Il calendario Amani del 2005, l’ottavo di una serie fortemente voluta da lui, è dedicato ai Nuba come il primo del 1998, con le foto di David Stewart-Smith. Il ricavato contribuirà alla costruzione di scuole primarie nel cuore dei monti Nuba e alla formazione dei maestri. Insieme con il libro di Kizito, anche questo calendario lotta contro il dannato cocktail di petrolio e pigrizia che mette a rischio non solo il popolo fiero dei Nuba, ma anche il popolo pittoresco degli hamburger.