ELISABETTA, autrice-editrice de I
Castelbarco ed il Trentino (settembre 2004)
è del ramo di Loppio. E importante
precisarlo perché il ceppo è radicato e
frondoso come quello di una quercia secolare. Nel
primo canto del Purgatorio si loda lumana
probità che risurge per li rami, e
questo secondo Dante accade di rado. Il sommo
poeta ebbe modo di assaggiare il pane dei
Castelbarco, visto che dal castello di Lizzana
probabilmente gettò locchio sulla slavina
di Mori, la ruina che gli ispirò lo
scenario dellincontro infernale con il
Minotauro. E cè il motto petrarchesco dei
Castelbarco di Sabbionara dAvio, Sia Che
Pò, dipinto sugli scudi dei fanti della Casa
delle Guardie. La tradizione di famiglia vuole
che sia stato tra gli ospiti anche Giovanni
Boccaccio quando si recò in Tirolo. E poi, meno
nota di quanto non meriti, cè la novella
di Franco Sacchetti che narra di un Guglielmo
Castelbarco che ad Avio cacciò da tavola e mise
ai ceppi un dipendente ingordo colpevole di aver
mangiato maccheroni col pane in tempi di
carestia. Non tutti i Castelbarco erano stinchi
di santo: un Aldrighetto, otto secoli e mezzo fa,
anno più anno meno, tra Arco e Riva diede di
lancia al vescovo Aldalpreto, percuotendolo al
fianco come aveva fatto la frana con lAdige
a Mori e come risulta dalla scena raffigurata a
sbalzo su una lamina del Museo diocesano di
Trento; o forse lo colpì con due fendenti, come
risulta a monsignor Iginio Rogger per averne
trovato chiare tracce sul cranio di Adalpreto.
Elisabetta Ceschi a Santa Croce, biografa del suo
casato acquisito, confessa con candore che un
ritratto di famiglia dallinterno non è mai
oro colato. Ed è vero, ma in questo consiste
loriginalità della sua fatica. A modo suo,
con umorismo e leggerezza, si dedica alla storia
dei Castelbarco inquadrandoli nel territorio
trentino, usando i castelli come torri degli
scacchi e tracciando una parabola che va dalla
preistoria della Vallagarina alla cedraia
dellantico palazzo di Loppio, poi
declassata a fabbrica di crauti ma ugualmente
accostata da Elisabetta al giardino mitico delle
Esperidi. Amaro, non a torto, è il suo giudizio
sulla galleria Adige-Garda, che ha ucciso il lago
di Loppio, sifone dei laghetti del Baldo e dello
Stivo, si è bevuta le fontane e tra esse la
sorgente dei Conti.
Nel 1952 Elisabetta sposò il conte Alessandro
Castelbarco, medaglia dargento in Grecia,
partigiano in Val dOssola nelle brigate di
Edgardo Sogno e dopo la guerra ufficiale di
carriera fino al grado di generale di divisione.
Nel suo libro non mancano gli alberi genealogici
e i medaglioni degli antenati, oltre a un
catalogo dei quattordici castelli dei
Castelbarco. Quello che più incuriosisce, nel
testo illustrato, sono gli aneddoti dimenticati o
ignorati, come quello di Gabriele DAnnunzio
invitato a Loppio da Filippo Castelbarco
cittadino onorario di Fiume. Il vate planò sul
laghetto col suo aereo privato e raggiunse la
nuova dimora ricostruita nel 1926 sulle rovine
del palazzo, presidio austriaco nella grande
guerra e alla fine ridotto a un cumulo di
macerie. Ma siccome la memoria non si può
bombardare, di quelle glorie gli eredi dei
Castelbarco conservano gli scampoli per
alimentare la saga e tramandarla di generazione
in generazione. A questo patrimonio ha attinto
Elisabetta, senza timore di prendere strade che
si allontanano da quelle consuete. E ha narrato
la storia dei suoi avi, secondo la visione di
famiglia.