VISTO DI
PROFILO, Wesley Duke Lee, pittore e incisore di
fama internazionale, somiglia come una goccia
dacqua a Karl Plattner, di Malles in Val
Venosta. Ha settantacinque anni. Il suo maestro
tirolese ne avrebbe novantasette se fosse ancora
al mondo. Nel suo atelier di San Paolo, Wesley
sta riflettendo sullesuberanza dei fregi
dellaltare di Pergamo. È chino su un
tavolo ingombro di oggetti e modelli. Poi si
scuote e va verso una scaletta di ferro. La
supera, avanza sul ballatoio e apre una porta a
vetri con la scritta smerigliata:
Laboratorio di archeologia
dellanima. È qui che Wesley
custodisce in cornice una foto di mezzo secolo
fa, con due personaggi. Una figura nitida, quella
di Karl, con il grembiule e il pennello in mano,
accanto a un tavolo basso con sopra tre bicchieri
di vetro colmi di colore. Il suo volto sembra
inciso sul bianco di una parete semiaffrescata.
Al suo fianco, dallaltra parte del tavolo,
cè il giovane Wesley, in tuta da operaio,
che assiste il maestro al lavoro. La sua figura
di tre quarti è leggermente mossa. Il volto non
si distingue.
Wesley si lascia fotografare nel laboratorio,
accanto a quellimmagine-reliquia. Aveva
ventun anni quando Karl e sua moglie misero piede
per la prima volta nella sua terra bellissima e
rigogliosissima. Vi si fermarono per due anni,
dal 1952 al 1954, il tempo di fare buone amicizie
e organizzare una mostra per pagare i biglietti
di ritorno. La famiglia era cresciuta, ora
cera una figlia piccola. Il futuro era
promettente, a Bolzano cera da affrescare
la Sala della Giunta provinciale. Ma il Brasile
è un po come lAfrica, che quando lo
lasci ti viene una specie di mal sottile
complicato dal sentimento che ti divora se non lo
controlli. Karl non era soddisfatto del suo
lavoro per i politici. E si lasciò condizionare
da chi gli diceva che quegli affreschi non
sembravano suoi, sembravano copie di Karl
Plattner. Forse il lavoro gli era venuto strano
per via di quel mal sottile. I colori e le forme
del Brasile non sono quelli della Val Venosta. Il
Brasile trasforma gli artisti figurativi europei,
li divora dallinterno. Karl trovò la forza
per ricominciare da zero. Andò a Parigi,
sorgente di molte sue ispirazioni, e rifece i
cartoni a spese sue. Tornò a Bolzano e rimise
mano agli affreschi. A Parigi gli era nata
unaltra figlia. Quando la piccola ebbe sei
mesi a Karl venne voglia di tornare in Brasile,
che per tutti gli artisti europei è come il
mare, dove non si attinge, ci si immerge, si
nuota e si esce diversi.
Fu presto il 1956. In Italia fu lanno
preparatorio del boom, in Brasile fu il primo
degli anni di governo del presidente Juscelino
Kubitscheck, linizio di un quinquennio di
riforme passato alla storia per la nascita di
Brasilia e il trionfo della bossa nova.
Cera già linflazione in Brasile, ma
di soldi ne giravano tantissimi e il lavoro agli
artisti non mancava. Plattner eseguì affreschi
per un noto quotidiano di San Paolo e per
lAir France. Lavorò molto anche per i
privati. Aprì uno studio e si concesse il lusso
di assumere un ragazzo dal nome avventuroso, da
guerra di secessione: Wesley Duke Lee, il più
sveglio dei suoi allievi. che era già stato a
New York per studiare arti grafiche e si era
messo in pubblicità. In verità era stato Wesley
a sceglierselo per maestro. Plattner gli chiese
che cosa volesse dalla vita. Voglio fare
lartista, rispose Wesley. E
allora forza, che qui di lavoro non ne
manca, gli disse Karl.
Ben presto con la crescita dellinflazione
si ebbero i primi cedimenti delleconomia.
Temendo di restare con un pugno di mosche in mano
senza poter rientrare in Europa, nel 1958 il
maestro fece le valige. Lallievo restò suo
buon amico e ne curò gli interessi a San Paolo.
Poi lo raggiunse in Europa, per lavorare con lui
al pannello del Palazzo del Festival di
Salisburgo. Ma Wesley non riusciva a stare nello
stesso posto per molto tempo. In
unintervista del 1999 con Mario Lorenzi,
racconta che invitò suo fratello a raggiungerlo,
per andare a trovare Ingmar Bergman a Stoccolma.
Ci andarono in Vespa e incontrarono il loro
idolo. Ma lincontro non ebbe fortuna.
Ingmar Bergman fu spietato: Volete fare del
cinema? Andate a farlo in Brasile.
Rientrato in patria, Wesley si mise in proprio.
Nel Fondo Karl Plattner del MART di Rovereto ci
sono alcune sue lettere spedite da San Paolo. Due
di esse sono importanti. La prima è del 4 maggio
1962, scritta a macchina, con la cattiva nuova
del fallimento della banca brasiliana in cui il
maestro aveva il conto, e la buona nuova della
persistenza del buon nome di Plattner a San
Paolo. In cima al foglio cè una nota a
penna: Quanto al pannello di Innsbruck,
sono disposto a lasciare qualsiasi cosa se lei ha
bisogno di aiuto. Il fascino che il Tirolo
esercita su di me è un mistero che non riesco a
comprendere. In quei mesi Plattner si
apprestava ad affrescare la cappella del Ponte
Europa, e aveva invitato lallievo a
raggiungerlo. Nellaltra lettera, del 4
aprile 1962, Wesley scrive al carissimo
maestro: Mi sto affermando sempre
più come disegnatore, e ho migliorato il
controllo dei colori. Qui la gente le dà il
credito che le spetta, tanto più che nessuno è
in grado di rimpiazzarla.
Ma Plattner non lo volle più come aiuto.
Nell'intervista del 1999, lo stesso Wesley spiega
il perché. Plattner gli disse che a Salisburgo
ci aveva messo troppo del suo, e che ormai era
diventato autonomo e troppo bravo. Il maestro
aveva visto giusto. Wesley non finì sul
lastrico, aveva già una strada tracciata. Dopo
aver esposto a Roma e a Milano, sperimentò il
realismo magico, lhappening, le nuove
tecnologie, senza mai rinunciare alle tecniche
apprese da Plattner, come la tempera medievale,
la pittura a olio e la grafica.
In fondo è una storia comune: a volte il
distacco tra allievo e maestro rischia di
apparire traumatico ma è salutare. E ciò spiega
come mai, nel suo raffinato laboratorio, il
paulistano Wesley Duke Lee conservi ancora quella
foto-reliquia. Una foto simbolica, con due
artisti senza frontiere e due mondi che si
attraggono e si incrociano, scambiandosi forme e
colori.
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