DOMENICA, 23 APRILE 2006

Pagina 56 - Cultura & Società


 

Wesley: «Plattner, il mio maestro»



È brasiliano l'allievo del grande altoatesino
che nel Paese si guadagnò onori e fama



 
Wesley Duke Lee nel suo studio
(foto: Alessandro Dell'Aira)






Karl Plattner nel 1956 a San Paolo




WESLEY DUKE LEE CONSERVA NEL SUO STUDIO DI SAN PAOLO LA FOTOGRAFIA
DI MEZZO SECOLO FA, MENTRE ASSISTE AL LAVORO DEL PITTORE DI MALLES



 
 
 

  di Alessandro Dell’Aira

 

VISTO DI PROFILO, Wesley Duke Lee, pittore e incisore di fama internazionale, somiglia come una goccia d’acqua a Karl Plattner, di Malles in Val Venosta. Ha settantacinque anni. Il suo maestro tirolese ne avrebbe novantasette se fosse ancora al mondo. Nel suo atelier di San Paolo, Wesley sta riflettendo sull’esuberanza dei fregi dell’altare di Pergamo. È chino su un tavolo ingombro di oggetti e modelli. Poi si scuote e va verso una scaletta di ferro. La supera, avanza sul ballatoio e apre una porta a vetri con la scritta smerigliata: “Laboratorio di archeologia dell’anima”. È qui che Wesley custodisce in cornice una foto di mezzo secolo fa, con due personaggi. Una figura nitida, quella di Karl, con il grembiule e il pennello in mano, accanto a un tavolo basso con sopra tre bicchieri di vetro colmi di colore. Il suo volto sembra inciso sul bianco di una parete semiaffrescata. Al suo fianco, dall’altra parte del tavolo, c’è il giovane Wesley, in tuta da operaio, che assiste il maestro al lavoro. La sua figura di tre quarti è leggermente mossa. Il volto non si distingue.

Wesley si lascia fotografare nel laboratorio, accanto a quell’immagine-reliquia. Aveva ventun anni quando Karl e sua moglie misero piede per la prima volta nella sua terra bellissima e rigogliosissima. Vi si fermarono per due anni, dal 1952 al 1954, il tempo di fare buone amicizie e organizzare una mostra per pagare i biglietti di ritorno. La famiglia era cresciuta, ora c’era una figlia piccola. Il futuro era promettente, a Bolzano c’era da affrescare la Sala della Giunta provinciale. Ma il Brasile è un po’ come l’Africa, che quando lo lasci ti viene una specie di mal sottile complicato dal sentimento che ti divora se non lo controlli. Karl non era soddisfatto del suo lavoro per i politici. E si lasciò condizionare da chi gli diceva che quegli affreschi non sembravano suoi, sembravano copie di Karl Plattner. Forse il lavoro gli era venuto strano per via di quel mal sottile. I colori e le forme del Brasile non sono quelli della Val Venosta. Il Brasile trasforma gli artisti figurativi europei, li divora dall’interno. Karl trovò la forza per ricominciare da zero. Andò a Parigi, sorgente di molte sue ispirazioni, e rifece i cartoni a spese sue. Tornò a Bolzano e rimise mano agli affreschi. A Parigi gli era nata un’altra figlia. Quando la piccola ebbe sei mesi a Karl venne voglia di tornare in Brasile, che per tutti gli artisti europei è come il mare, dove non si attinge, ci si immerge, si nuota e si esce diversi.

Fu presto il 1956. In Italia fu l’anno preparatorio del boom, in Brasile fu il primo degli anni di governo del presidente Juscelino Kubitscheck, l’inizio di un quinquennio di riforme passato alla storia per la nascita di Brasilia e il trionfo della bossa nova. C’era già l’inflazione in Brasile, ma di soldi ne giravano tantissimi e il lavoro agli artisti non mancava. Plattner eseguì affreschi per un noto quotidiano di San Paolo e per l’Air France. Lavorò molto anche per i privati. Aprì uno studio e si concesse il lusso di assumere un ragazzo dal nome avventuroso, da guerra di secessione: Wesley Duke Lee, il più sveglio dei suoi allievi. che era già stato a New York per studiare arti grafiche e si era messo in pubblicità. In verità era stato Wesley a sceglierselo per maestro. Plattner gli chiese che cosa volesse dalla vita. “Voglio fare l’artista”, rispose Wesley. “E allora forza, che qui di lavoro non ne manca”, gli disse Karl.

Ben presto con la crescita dell’inflazione si ebbero i primi cedimenti dell’economia. Temendo di restare con un pugno di mosche in mano senza poter rientrare in Europa, nel 1958 il maestro fece le valige. L’allievo restò suo buon amico e ne curò gli interessi a San Paolo. Poi lo raggiunse in Europa, per lavorare con lui al pannello del Palazzo del Festival di Salisburgo. Ma Wesley non riusciva a stare nello stesso posto per molto tempo. In un’intervista del 1999 con Mario Lorenzi, racconta che invitò suo fratello a raggiungerlo, per andare a trovare Ingmar Bergman a Stoccolma. Ci andarono in Vespa e incontrarono il loro idolo. Ma l’incontro non ebbe fortuna. Ingmar Bergman fu spietato: “Volete fare del cinema? Andate a farlo in Brasile”.

Rientrato in patria, Wesley si mise in proprio. Nel Fondo Karl Plattner del MART di Rovereto ci sono alcune sue lettere spedite da San Paolo. Due di esse sono importanti. La prima è del 4 maggio 1962, scritta a macchina, con la cattiva nuova del fallimento della banca brasiliana in cui il maestro aveva il conto, e la buona nuova della persistenza del buon nome di Plattner a San Paolo. In cima al foglio c’è una nota a penna: “Quanto al pannello di Innsbruck, sono disposto a lasciare qualsiasi cosa se lei ha bisogno di aiuto. Il fascino che il Tirolo esercita su di me è un mistero che non riesco a comprendere”. In quei mesi Plattner si apprestava ad affrescare la cappella del Ponte Europa, e aveva invitato l’allievo a raggiungerlo. Nell’altra lettera, del 4 aprile 1962, Wesley scrive al “carissimo maestro”: “Mi sto affermando sempre più come disegnatore, e ho migliorato il controllo dei colori. Qui la gente le dà il credito che le spetta, tanto più che nessuno è in grado di rimpiazzarla.”

Ma Plattner non lo volle più come aiuto. Nell'intervista del 1999, lo stesso Wesley spiega il perché. Plattner gli disse che a Salisburgo ci aveva messo troppo del suo, e che ormai era diventato autonomo e troppo bravo. Il maestro aveva visto giusto. Wesley non finì sul lastrico, aveva già una strada tracciata. Dopo aver esposto a Roma e a Milano, sperimentò il realismo magico, l’happening, le nuove tecnologie, senza mai rinunciare alle tecniche apprese da Plattner, come la tempera medievale, la pittura a olio e la grafica.

In fondo è una storia comune: a volte il distacco tra allievo e maestro rischia di apparire traumatico ma è salutare. E ciò spiega come mai, nel suo raffinato laboratorio, il paulistano Wesley Duke Lee conservi ancora quella foto-reliquia. Una foto simbolica, con due artisti senza frontiere e due mondi che si attraggono e si incrociano, scambiandosi forme e colori.
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