MERCOLEDÌ, 30 AGOSTO 2006

Pagina 51 - Cultura & Società


Sotto il
chador,
il cuore
diviso
dell'Iran


Il velo è il simbolo di un Paese integralista, in cerca d'identità ed emancipazione.

Dopo aver registrato il tutto esaurito nell'edizione invernale di Trentino d'autore, Lilli Gruber, giornalista e europarlamentare a Bruxelles, torna a Comano Terme, per il prossimo appuntamento della rassegna letteraria. Un'occasione per presentare il suo ultimo libro "Chador, nel cuore diviso dell'Iran" (edizioni Rizzoli). L'incontro si tiene alla Sala Congressi delle Terme di Comano, domani alle ore 17, condotto da Alberto Faustini. Il prossimo incontro, l'8 settembre, sarà con Carmine Abate, a Castel Campo.

 

  di Alessandro Dell’Aira

 

MAGGIO 2005. LILLI GRUBER lascia Parigi per l’Iran col marito Jacques, anche lui giornalista. Lei è già stata in Iran anni prima e ha vissuto la guerra in Iraq come inviata del Tg1 a Bagdad. Lui ha una grande esperienza di Medio Oriente. Insieme sono una forza della natura. L’occasione dichiarata del viaggio è il colloquio intavolato da Lilli in una sala da tè con una misteriosa iraniana che l’ha distolta dalla lettura dell’Herald Tribune. In altre parole: una testimone vale più di un articolo di giornale. L’occasione vera però è un’altra: le elezioni presidenziali in Iran. Vincerà Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, che tra i candidati è il favorito e passa per riformista, oppure Mahmoud Ahmadenijad, sindaco di Teheran, che ha fama di essere più duro dell’ayatollah Khamenei, Guida Suprema della Repubblica? Chissà. Lilli e Jacques si imbarcano per Teheran. Meglio andare in due, a tentoni, guardinghi e prudenti, come i gruppi che al buio dispongono solo di una candela.

Così inizia “Chador”, l’ultimo libro di Lilli Gruber, che si chiude con alcune riflessioni sul dopo elezioni. A quattordici mesi da allora, la situazione si è fatta incandescente. Secondo Robert Mac Namara, il tecnocrate USA della guerra al Vietnam, c’è il rischio concreto di un’apocalisse. Ahmadenijad ha attaccato verbalmente e a più riprese Israele. Israele ha attaccato con le armi Hezbollah nel Libano del Sud, nella certezza che i miliziani agiscano per conto dell’Iran. L’ONU ha chiesto all’Iran di sospendere l’arricchimento dell’uranio, pena sanzioni. L’Iran ha risposto che andrà avanti, poi in extremis ha manifestato la “voglia di negoziati seri”. Come la spada di Alì, il genero di Maometto venerato dagli sciiti, la politica iraniana sembra avere due punte.

Questi scenari di tensione sembrano facilmente leggibili. In realtà non lo sono. Più filmati di guerra ci arrivano in casa, più indiscrezioni giungono dalle agenzie, più siamo convinti che il mondo coincida con la sua rappresentazione. E invece portano il chador anche molte agenzie, e pure il mondo schierato che gronda di propaganda dietro il velo delle buone intenzioni.

“Chador” di Lilli Gruber descrive le ricognizioni di un mese negli angoli più nascosti e negli ambienti più esclusivi di Teheran e dintorni, tra le nebbie che rendono l’Iran pressoché impenetrabile agli occhi dell’Occidente. L’ipotesi è che la stabilità mediorientale potrà giungere solo da un rafforzamento dell’arco sciita dall’Iran al Libano. La storia sembra andare decisamente in questa direzione: voler cambiare di forza il suo corso, come ha osservato Mac Namara, può essere molto rischioso.

E’ una donna, Taraneh, ad accogliere Lilli e Jacques e a ospitarli in città, agevolando gli incontri che contano. Uno dei momenti cruciali è l’intervista con Zahra, figlia di Khomeini, che rievoca il rapporto di sottomissione affettuosa con il padre e si dichiara fedele agli usi islamici tradizionali, chador compreso, pur lasciando trasparire le proprie aperture di donna impegnata. Significativo è il colloquio col gestore di un localino alternativo, una sorta di ovattato caffè-bonsai, con il sottofondo di musica jazz e un brusio di insofferenza per l’integralismo religioso. Ecco il cuore diviso dell’Iran. Tutto questo risponde a una forma comunicativa che Lilli Gruber definisce “il bazar della parola”. In Iran la parola è usata come un chador che pretende di conciliare l’inconciliabile, perché occulta il pensiero, lo tutela e nello stesso tempo lo soffoca. Per capirne di più ci vorrebbe più tempo, non un mese appena. Conclusione, un po’ amara: l’Iran è un labirinto semibuio, in cui non ci si orienta facilmente senza mappe e con una candela in mano.

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Lilli Gruber, giornalista, “prodiana”, dal 4 novembre scorso è commendatore della Repubblica per i suoi meriti di inviata di guerra in Iraq. Parlamentare europea, aderisce al gruppo PSE come indipendente. E’ presidente della delegazione per le relazioni con gli Stati del Golfo e membro della delegazione per le relazioni con l'Iran. Ha un sito web in cui il personale e il politico si integrano con la produzione giornalistica e saggistica. Il suo ultimo libro pubblicato, “Chador”, è in evidenza sul portalino.

Onorevole Gruber, dei suoi libri quale ama di più?
E’ difficile rispondere. I libri sono come i figli, li ami tutti allo stesso modo. Ora c’è anche “America anno zero. Viaggio in una nazione in guerra con se stessa”, il libro che sta per uscire, in cui parlo degli USA, la più grande, l’unica superpotenza mondiale, che ha in mano le sorti del Medio Oriente.

Si sente più “indipendente” come parlamentare europea o come giornalista?
Sono occupazioni molto diverse, e anche simili tra loro. Come parlamentare europea ho conservato la mia indipendenza e la mia autonomia. L’indipendenza per me è linfa vitale.

“Chador” chiama in causa anche il rapporto difficile dell’Occidente con l’Islam e i suoi simboli. E’ così?
Certamente. L’uso del chador in Iran è regolato da una legge statale che risale al 1980, un anno dopo il ritorno di Khomeini. Una donna non può scendere da un aereo senza il chador, simbolo di tutto e del contrario di tutto, dell’oppressione e della libertà. Nel caso dell’Iran, il velo ha consentito a tante donne di uscire di casa per entrare nel mondo del lavoro. Oggi l’Islam è anche a casa nostra, perciò dobbiamo sforzarci di capire. Credo che il problema del velo stia nell’avere il diritto di scelta se metterlo o no. In ogni caso è più organico alle società patriarcali che all’Islam.

Il ruolo dell’Europa contro le nostre paure.
Le paure si vincono quando si sta ai fatti. E’ una regola per i giornalisti e anche per i politici. Dobbiamo andare oltre i luoghi comuni e i pregiudizi. Una delle più grandi paure è la paura del diverso, oggi rappresentata dal mondo musulmano. Il terrorismo di oggi ha poco a che fare con la religione islamica e con lo scontro tra religioni. A monte ci sono sempre le decisioni politiche.

Alcuni intellettuali tra cui Noam Chomsky, Gore Vidal e José Saramago hanno firmato un documento sulla questione mediorientale, in cui si afferma che il problema di fondo è la distruzione di ogni prospettiva di “ritorno” dei palestinesi a Israele, con l’occupazione della Valle del Giordano e delle terre migliori. Cosa ne pensa?
A mio giudizio quel documento esprime l’inquietudine e la preoccupazione di tante persone nel mondo, per il fatto che non si trova una soluzione in tempi rapidi a una questione annosa come quella israelo-palestinese. La preoccupazione è comprensibile, in primo luogo perché chi si preoccupa delle sorti del mondo si inquieta, e poi perché la mancata soluzione del conflitto palestinese porta con sé molte altre tensioni nel mondo mediorientale.

Dove va l’Iran? E’ ottimista o pessimista sul futuro del Paese?
Il sistema politico dell’Iran è così poco trasparente che è sempre estremamente difficile fare delle previsioni. Il viaggio di Khofi Annan a Teheran fa ben sperare. Ma siccome non è l’ONU che decide sul nucleare, né sulla questione iraniana, ma sono gli Stati Uniti, comincerò a nutrire un ottimismo fondato e serio quando gli Stati Uniti torneranno a sedersi a un tavolo di trattative con l’Iran. O meglio, quando Iran e Stati Uniti torneranno a parlarsi.


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