MERCOLEDÌ, 3 GENNAIO 2007

Pagina 45 - Cultura & Società


Burocrazia, quel filo rosso che ci lega a Ming e Incas










Sorprendenti analogie
a cavallo di secoli e culture.




Burocrate inca del XVI secolo

 

  di Alessandro Dell’Aira

 

DA CHE MONDO È MONDO, tutto il mondo è paese. Gli imperi e le province, di mare e di montagna, di destra e di sinistra, si somigliano. Qualsiasi cosa ci interessi, c’è un filo che va da un’epoca all’altra, da un luogo all’altro. Sarà l’effetto di scambi antichissimi, di cui poco o nulla sappiamo. Saranno le cosiddette strutture elementari. Chi sostiene che la cultura è contagiosa parla di “diffusionismo”. Più ci spostiamo nel tempo e nello spazio, più analogie troviamo. La pittura-scrittura delle caverne, il commercio, i cibi, e in tempi recenti anche l’organizzazione dei servizi. Per esempio, la burocrazia.

Burocrazia deriva dal francese bureau che vuol dire ufficio, più il suffisso di origine greca “crazia”, che designa il potere esercitato in modi e forme varie. La burocrazia è dunque il potere esercitato dagli uffici. I suoi agenti primari sono i capi degli uffici. I suoi strumenti primari sono i documenti, di carta e digitali. Il “come” della burocrazia sono le forme in cui gli agenti burocratici dispongono il modo di organizzare, conservare e consultare i documenti per gli usi consentiti da regole e norme.

Gli agenti burocratici di oggi sono soggetti a regole e norme dettate dal potere esecutivo, e ne rispondono al potere giudiziario. Il quarto potere (i media) e il quinto (la rete globale) li controllano dall’esterno. Nell’era dell’accesso, ciò vale soprattutto per il quinto potere, poiché internet ha effetti sensibili sull’organizzazione e la trasparenza dei documenti, fatta salva la privacy.

Detto questo, e mutatis mutandis, proviamo a fare confronti tra ieri e oggi, per esempio sulla selezione dei dirigenti e l’organizzazione dei documenti. Le nostre fonti, per gli Incas e i Ming, risalgono ai primi del Seicento. Per gli Incas abbiamo consultato i Commentari del meticcio Garcilaso de la Vega, detto Inca perché figlio di un nobile spagnolo e di una aristocratica di Cuzco. Per i Ming rinviamo al gesuita Matteo Ricci. Sul presente non abbiamo consultato fonti. La burocrazia di oggi è in funzione, sotto gli occhi di tutti.

Cominciamo dalla Cina dei Ming. Come si reclutavano i dirigenti pubblici di secondo grado? La parola a Matteo Ricci. “In ogni metropoli di ciascheduna provincia sta un palazzo solo per questo esame, assai grande e tutto circondato da muri alti e dentro con molte stanze, per stare gli esaminatori e vedere le composizioni, molto segrete. Nel mezzo vi è un grande cortile dove sono fatte più di quattromila celle o casette molto piccole, in ciascheduna delle quali non cape altra cosa che un uomo con una tavoletta e un banchetto, senza potersi né vedere né parlare l’uno con l’altro. Anche gli esaminatori arrivano senza parlare tra sé e mentre dura l’esame sono serrati dentro questo palazzo ognuno nella sua stanza. E intorno al palazzo per tutto il tempo si fanno veglie di giorno e di notte acciocché nessuno di quei di dentro tratti niente con quei di fuori, né per parole né per lettera". Come si sceglievano i dirigenti? “Quei dunque che hanno nelle mani tutto il governo del regno non sono nobili ma sono assunti poco a poco dai dottori e licenziati per esame. E per conseguire questi magistrati non hanno necessità di nessuna grazia o favore nemmeno dello stesso Re. Tutto quanto si fa nel governo deve essere approvato dal Re, ma il Re non fa che approvare e riprovare quel che gli propongono e quasi mai fa niente di suo senza essergli proposto prima dai magistrati.”.

Passiamo agli Incas del Perù, che vivevano nelle vicinanze dell’odierna Cuzco e parlavano il quechua. Come si organizzavano? I documenti degli Incas, che non usavano scrivere, erano i “quipus”, insiemi di cordicelle di diverso colore e di varia lunghezza, ritorte e annodate più volte secondo criteri rigorosissimi. I nodi erano ordinati in unità, decine, centinaia, migliaia, decine di migliaia. A confezionare i quipus nei centri abitati provvedevano i quipucamayoc, che a loro modo erano dirigenti locali. La parola a Garcilaso de la Vega: “Benché a quell’epoca scarsa fosse la differenza tra indiani buoni e indiani empi, essendo ben poca la malizia e ottimo il governo degli Incas, ragion per cui tutti potevano definirsi probi, ciò non toglie che per questo uffizio e per qualsivoglia altro scegliessero i più esperti e coloro che delle proprie buone qualità avessero dato più ampia prova. Gli incarichi non venivano assegnati come favore, perché tra quegli indiani mai ne toccarono a chicchessia che non li avesse meritati con la propria virtù. I quipucamayoc erano scrupolosi ed esatti al massimo, e in ogni villaggio dovevano essercene in numero proporzionato a quello degli abitanti”. Ma c’era un problema: il nodo esprime la quantità, non la qualità. “Per porre rimedio a tale carenza, disponevano di segni che indicavano fatti degni di memoria storica”, che i quipucamayoc “mandavano a memoria in forma riassuntiva, con parole concise, e le tramandavano oralmente ai successori, di padre in figlio e nipote, soprattutto in quei villaggi e province dove gli eventi in questione si erano verificati”.

Nodi su nodi, muri e stanze segrete, vecchi e nuovi burocrati. Un problema ricorrente? Non disperiamo. Le parole che terminano in “crazia”, come democrazia e burocrazia, non sono in sé né belle né brutte. Tutto dipende da come viene esercitato il governo, con quali strumenti, documentali, operativi e di controllo. Con un occhio alla qualità, più che alla quantità degli eventi.

Conclusioni? Non ne abbiamo. Da che mondo è mondo, ogni comunità ha interesse a lasciare buone tracce, anche nella burocrazia. Quando c’erano solo il primo, il secondo e il terzo potere, la ragione era sempre quella di chi governava. Oggi abbiamo anche il quarto e il quinto potere. E siccome gli storici vi attingono, finché possiamo sappiamoci regolare.


 
 
     
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