DOMENICA, 19 AGOSTO 2007

Pagina 56 - Cultura & Società


«Dalla tivù alla radio
con l'obiettivo
di arrivare primi»



  di Alessandro Dell’Aira

 

GRAND-TOUR 2007 di Antonio Caprarica in regione, in veste di scrittore e di esperto di informazione pubblica. Presenterà “Com’è dolce Parigi… o no? Perché amare la Francia nonostante i francesi”, di Sperling & Kupfer, edito quest’anno e alla terza edizione. Venerdì 24 agosto alle 18 sarà al Palazzo Sass Maor di San Martino di Castrozza, lunedì 27 agosto alle 17 alle Terme di Comano, martedì 28 agosto alle 21 al Cinema-Teatro di Andalo.

La copertina non fa il libro, come l’abito non fa il monaco. Però qualcosa fa. L’editore, ancora una volta, ha sbattuto l’autore in copertina. Antonio Caprarica sfoggia un sorriso e una cravatta fragola e panna su una scatola rotonda di Camembert di Normandia, uno di quei fromages con la crosta fiorita di muffa che a merenda i francesi impastano con il burro e spalmano su mezza baguette, tipo calce sui mattoni. La copertina di “Com’è dolce Parigi… o no? Perché amare la Francia nonostante i francesi” richiama quella del best-seller del 2006: “Dio ci salvi dagli inglesi… o no?”, sui vecchi e nuovi riti d’Oltremanica, con un Caprarica sornione stampato su una tazza da tè-souvenir, con la bustina a bagno. Quel libro doveva intitolarsi “Ma c'è ancora l'Inghilterra?”. Chi lo intervistò, a suo tempo, non seppe trattenersi e commentò: “Senza di lui un po’ meno, ora che va a Parigi”.

Ora Caprarica dirige Radio Uno e tutti i Gr di cui la Rai è capace. Rimpiange la vita di corrispondente, ma forse è fair play. Dieci anni in Inghilterra, un anno scarso in Francia: da marzo a dicembre del 2006. Leccese, anglofilo, disincantato, meridionale freddo come il foggiano Renzo Arbore, Antonio Caprarica è stato allievo di Lucio Colletti alla Sapienza. Da giovane ha scritto per Mondo Nuovo e per l’Unità. È stato anche condirettore di Paese Sera, inviato del Tg1 in Medio Oriente e capo dell’Ufficio Rai di Mosca. Ha vinto tra l'altro il premio Val di Sole, l’Ischia, il Fregene. La sua passione: viaggiare per raccontare. Sotto sotto è uno storico Old fashion. O no?

Caprarica, come e perché è diventato giornalista?
Dopo la laurea alla Sapienza con Lucio Colletti, Emilio Garroni, docente di estetica, mi volle con sé. Già allora scrivevo per l’Unità e mi resi conto che le due cose fatte insieme non erano compatibili. Scelsi il giornalismo per una questione generazionale. Ero attratto dal sociale e dalla politica. Fu una decisione tormentata.

Il suo libro su Parigi si apre con la frasetta: “Sono un uomo fortunato”. Meglio essere direttore di Rai Uno e dei GR, o corrispondente di lusso?
È un’alternativa del diavolo. Quella della direzione Rai è una sfida eccezionale, ma fare il corrispondente dalle due capitali storiche d’Europa non è una cosa che capita a tutti. Se avessi dovuto scegliere sarei stato in serie difficoltà. Per fortuna, ha scelto l’azienda.

Hanno scritto che lei non è un teorico della comunicazione, ma un grande esperto di informazione pubblica e una forte personalità comunicativa. Che taglio ha dato all’informazione radiofonica italiana, in questi mesi?
In questi mesi ho voluto dare all’informazione radio un’impronta semplice, diretta, rapida, veloce. La radio significa soprattutto due cose: velocità e approfondimento. Ritmi veloci, con l’obiettivo di arrivare sempre primi. Sui grandi eventi finora ci siamo sempre riusciti. La radio è una voce e un microfono. Questo le consente di battere sul tempo la tv.

Come vede l’Italia dall’interno, dopo undici anni di estero?
Domanda imbarazzante. La vedo con un pizzico di delusione e di allarme. Delusione perché pensavo che aspetti negativi del nostro vivere insieme, risalenti a vent’anni fa, fossero stati risolti. Allarme perché in un mondo globalizzato i nostri ritardi pesano dieci volte di più rispetto a vent’anni fa. La globalizzazione non ha pietà per nessuno.

Il suo impatto con Parigi non è stato dei migliori, a cominciare dall’atterraggio. Colpa dei parigini?
Forse è colpa di un amore non corrisposto. Il mio libro è una provocazione. Parigi è una città straordinaria, con un movimento turistico di 26 milioni di persone l’anno.

Francesi pazienti, parigini insolenti. Sono sempre così questi parigini, come gli italiani di pessimo umore? E le loro qualità positive?
Ho ripreso il giudizio da Jean Cocteau. Forse ho incontrato molte persone che la mattina erano scese dal letto ingrugnate, col piede spagliato. La cosa curiosa è che il libro ha suscitato molta animosità tra i lettori, in termini positivi e negativi. Hanno reagito in modo un po’ viscerale, come con i parenti, nel senso che i parenti li si ama o li si odia. Provocazioni a parte, la verità è che a Parigi c’è ancora aria da corte reale, si respira eleganza e bellezza, soprattutto nei mercatini alimentari all’aperto, una bellezza che stride con la qualità media, a volte pessima del loro cibo cotto.

Nel suo libro non ha parlato della Coppa del Mondo di calcio. Eppure in quei mesi era a Parigi. In altra sede, citando Shakespeare, ha detto che la Francia sperava di vincere la Coppa per « uscire dall’inverno dello scontento».
Non ne ho parlato per non riaprire polemiche recenti. Sarebbe stato ingeneroso ravanare nelle ragioni dell’inimicizia. È vero però che la Coppa del Mondo esprimeva come poche altre cose i sentimenti dei francesi contro gli italiani. Gianni Agnelli diceva: i francesi detestano perdere, ma trovano intollerabile perdere contro gli italiani. Ne sono prova le ultime uscite di monsieur Domenech, commentate giustamente da Tardelli con parole aspre. Ciò che ha fatto Chirac ricevendo la squadra dopo i Campionati, e cioè mimare una testata a Zidane, ha sminuito il prestigio del suo ruolo.

La burocrazia francese e quella di casa nostra. In una Coppa del Mondo delle burocrazie, quale delle due vincerebbe?
Vincerebbero certamente i francesi. Non vedo sfidanti all’altezza di strappare loro questa Coppa. I francesi si vantano di avere una burocrazia perfetta, ma anche in questo caso… Comunque, non sono sicuro che si tratti di un trofeo da conquistare a tutti i costi.

La Francia e il fisco. Riccardo Cocciante un po’ come Valentino Rossi. Boom di Incassi e problemi. Questione delicata. Come la vede?
Rossi a Londra, Cocciante a Monaco, tutti e due invocano la condizione di residenti in uno Stato straniero. Da un punto di vista etico, trovo sgradevoli questi escamotages dei grandi personaggi che non avvertono il dovere morale di versare un contributo serio. Violazione o non violazione di legge. Detto questo, chiarisco che non condivido il parere di quella schiera di intellettuali francesi che hanno invocato su Libération tasse più severe per finanziare lo Stato sociale. Mi sembra una linea sbagliata e suicida.

A Parigi si è sentito un eroe della libertà di stampa. Perché?
Il giornalismo francese mi è sembrato parecchio montato. Ho scritto che è un giornalismo alla maionese.


Se le chiedessero di scrivere un libro su Trento e i trentini, che titolo suggerirebbe all’editore?
Ho già pronto un libro sugli italiani. Il titolo sarà: “Italiani, brava gente... o no?” Nel caso di Trento e dei trentini mi verrebbe da titolarlo: “Trento e i trentini. Italiani… o no?” . Trento e i trentini hanno qualità speciali.



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