NELLA SALA DEL BILIARDO di Villa Margon, di proprietà della
famiglia Lunelli, a Ravina di Trento, cè un camino
chiuso da formelle bianche e blu, provenienti da due
stufe demolite, databili tra il 1650 e il 1750. La trave
e le cornici di pietra appaiono dipinte in tempi
relativamente recenti con motivi geometrici simili per
forma e colore ai motivi delle maioliche. Il rivestimento
frontale consiste in due lastre rettangolari con scene
mitologiche, ciascuna affiancata da lastre più strette
con festoni di frutta che pendono da mascheroni alati; e
in undici formelle quadrate disposte su due file, con
scene sacre e motti latini dentro cartigli a volute. Le
lastre rinviano alle Metamorfosi di Ovidio: a sinistra,
Apollo che scuoia Marsia; a destra, Didone che maledice
Enea, la cui nave si allontana allorizzonte.
Scorticamento e magia sono temi occulti, qui casualmente
affiancati a emblemi mistici, in certo modo esoterici. La
finta bocca del focolare è inquadrata fra due lesene a
colonnine tortili ornate da motivi floreali: queste
ultime, proprie delle stufe prodotte a Sfruz in Val di
Non, richiamano quelle della stufa di Villa Campia-Maffei
a Revò, datata 1753. Tra le due colonnine del camino di
Villa Margon fu collocata una lastra di metallo con due
portelli. Di conseguenza, negli anni, la camera del fuoco
alimentata a carbone finì per sviluppare un calore
eccessivo che provocò seri ma non irreparabili danni
allaffresco retrostante del Salone centrale, con il
Sacco di Roma ad opera dei lanzichenecchi.
Le due file di formelle, alcune delle quali risagomate,
sono raccordate al resto da listelli bombati con un
motivo a spirale. Esse formano un piccolo corpus di
emblemi, di cui fu maestro lumanista milanese
Andrea Alciati, che nel 1531 combinò immagini e motti
con brevi citazioni esemplari. Lemblematica sacra
ne trasse ispirazione e conobbe il suo massimo sviluppo
nella seconda metà del Seicento. Chi dipinse le formelle
di Villa Margon riprese gli emblemi da un testo del
diacono Johann Mannich, Sacra Emblemata,
stampato a Norimberga nel 1624: lo abbiamo identificato
con laiuto di Sara Damiani, del Centro Arti Visive
dellUniversità di Bergamo.
Nella penultima a destra della fila
bassa un soffietto attizza le fiamme di un cuore poggiato
su un libro aperto, per farne scaturire faville
damore (Crescant, des Jova, favillae:
lemblema del Mannich, che riproduciamo, rinvia al
Salmo 39,5). Nella seconda da sinistra cè il pasto
frugale del saggio, con una brocca che versa del liquido
in una coppa e uno scaldavivande da cui escono sbuffi di
vapore (Sapiens modico saturatur).
Nellultima a destra un agnello su un libro chiuso
contempla la mano di Cristo con la piaga a forma di croce
greca (Malo sic liberor omni, Cosi vengo
liberato da ogni male). La fila alta è composta da
cinque formelle tematiche tra due formelle con una
corolla stilizzata. Nella prima da sinistra, una mano che
impugna una daga esce da una nube e sta per fendere un
cuore, da cui sprizza del sangue che gocciola al suolo
suscitando fiamme: Aut mortem aut elige vitam, ossia
"Scegli, o la Morte (dello Spirito) o la Vita":
è un rinvio al Deuteronomio 30,19. Nella terza formella,
due braccia staccano raggi da un sole splendente per
ravvivare una candela, il cui stoppino fuma ancora: il
cartiglio recita Te numquam deseret, adsis, (Dio)
mai ti abbandonerà, restagli accanto o non
perderti danimo. Nella quinta formella, in
cui si legge Delevit crimina mundi, Ha
eliminato i crimini del mondo, la mano piagata di
Cristo scrive da destra a sinistra su un titulus
crucis inchiodato alla croce e con due pesi
pendenti. Alla croce è appesa una bilancia, metafora di
giustizia e della croce stessa. Il messaggio del titulus
(comunemente abbreviato in Inri, Iesus Nazarenus
Rex Iudaeorum) simula quello della reliquia
conservata a Roma a Santa Croce in Gerusalemme, con la
scritta in tre lingue che corre da sinistra a destra su
tre righe, nellordine: aramaico, greco e latino.
Il camino fu declassato
a stufa in occasione dei restauri ottocenteschi della
Villa, quando dallodierna Sala del biliardo venne
chiusa la scala che portava al piano superiore: la
cornice fu sigillata con i pezzi di due stufe fuori uso,
quasi certamente rimosse da due sale del piano superiore.
Due portelli a parete per il caricamento della legna,
infatti, sono ancora al loro posto negli angoli est del
salone sovrastante quello degli affreschi di Carlo V. La
stufa a formelle quadrate, molto più antica di quella a
lastre rettangolari, probabilmente riscaldava la Stube
cinquecentesca, installata nellangolo in cui oggi
cè una stufa a olle moderna.
In una terza lastra non utilizzata e conservata a Villa
Margone, della stessa mano e di identiche dimensioni di
quelle montate nel camino, è raffigurata Minerva con ai
piedi la civetta e una piramide sullo sfondo. E
possibile che nei magazzini vi siano altre lastre e
formelle di risulta. Potrebbero essere tutte maioliche di
Sfruz, ma la stufa emblematica sembra appartenere a un
altro ambito culturale. In un inventario del 1676 di
Villa Margone, conservato nella Biblioteca Comunale di
Trento, si menziona un armario basso ripieno di
ampolle e altri diversi vetri nella stanza vicino alla
stuffa, e un kit per alchimisti composto di
tre caldiere, un lambico col suo capello di rame,
diverse ampolline di vetro in una cestella, due bacilli
di maioliche e tre lambicchi di vedro.
Linventario è degli anni di Michelangelo Mariani,
che scrivendo sulle cose notevoli di Trento ricordò tra
laltro che ai tempi dei Fugger, antichi proprietari
di Villa Margone, in quei sotterranei si lambiccava
il fumo a forza dAlchimia; o si lavorava
dAlchimia a forza dOro, con fragore
notturno di catene, ululati di cani e andirivieni di
falsari.
Fumi superstiziosi, maldicenze divampanti? All's well
that ends well, direbbe Shakespeare, tutto è bene quel
che finisce bene. Tutto si fonde, tutto si mischia e si
rimischia. Questo allegro pastiche di maioliche bianche e
blu esorcizza il passato. .
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