Martedì 30 marzo 2010, p. 43
Cultura & Società


INCONTRI    
 

Guiglia, una penna
che combatte la casta



Il giornalista ha presentato
la sua autobiografia a Trento

di Alessandro Dell’Aira
.
 

LA PENNA è più forte della casta. Così scrive Federico Guiglia in "Ho toccato l’Italia col piede destro", autobiografia di uno “che ha sempre creduto nei suoi sogni”. Che sognino anche i giornalisti, non ci piove. Le cose si complicano se chi impugna la penna appartiene a una casta. La penna di casta castiga a sangue la penna senza padrone. Ma non sempre la doma.

La penna di Guiglia non è di casta. Schierato a destra, impudente da giovane col suo farsi largo nelle redazioni dei grandi quotidiani, anima di Radiotelenord a Merano per circa dieci anni, entrato nelle grazie di Montanelli e assunto al “Giornale”, ha sempre cercato spazi propri.

È uno che si preoccupa di indagare con metodo sui meccanismi di promozione della lingua italiana nel mondo. Un interesse analogo lo coltiva José Saramago, uomo di sinistra, che si fece le ossa in tempi duri come direttore del più grande quotidiano di Lisbona.

Giovedì scorso, invitato dalla Dante Alighieri di Trento, Guiglia ha presentato il suo libro, introdotto da Mario Caparelli e con la voce recitante di Alfonso Masi sotto gli affreschi della Sala Sosat di via Malpaga. In quarta di copertina una frase allude a quando, prima di lasciare illegalmente l’Uruguay dove è nato mezzo secolo fa, Federico rivendeva a Punta del Este le bottiglie che scovava tra la sabbia, scorie dei vacanzieri che infestavano le due spiagge, di mare e di fiume, della penisoletta alla foce del Rio de la Plata.

«C’erano tante Italie in quell’angolo di mare e del mio cuore, e tutte legate dall’umiltà, che è la virtù più preziosa per un americano del profondo Sud, cioè per un americano che non ha trovato l’America». Preso per mano da suo padre, col fratellino piû piccolo, a tredici anni Federico lasciò Montevideo grazie a una firma falsa sul passaporto del genitore, mantovano di nascita e meranese di adozione, che così sottrasse i figli alla moglie uruguaiana nei giorni in cui erano affidati a lui. Federico sapeva. Il fratellino, pressoché ignaro di tutto, si chiese in spagnolo dov’era il suo lettino. Era il ‘73, in Italia l’esercizio della patria potestà era attribuito solo al padre.

«Scendi dall’aereo col piede destro, ti porterà fortuna», si sentì dire Federico a Malpensa. Avrebbe rivisto la madre nel ‘78, quando venne a trovare i figli col nuovo marito.

Il padre, ex repubblichino, iscrisse il figlio al liceo classico Carducci di Merano. Trovò lavoro nel supermercato di una cooperativa rossa di Lagundo. A Montevideo, da impiegato di banca, aveva collaborato a una radio italiana. Così nel ’77 aprì una radio libera in città. I primi affitti li pagò Federico coi risparmi di un soggiorno di studio e lavoro a Londra. Quando si trasferì a Milano per studiare giornalismo con due esami pendenti di filosofia a Padova, Radiotelenord fu venduta. Il primo aprile dell’‘86 fu assunto da Montanelli. Lasciò la casa meneghina con la sua Daniela, meranese, ed entrò nella capitale dalla Salaria su un furgone noleggiato, i regali di nozze ancora impacchettati, rivivendo l’antinomia padre madre, Italia Uruguay, università giornalismo, Roma Milano, italiano spagnolo. Ecco perché Federico ama anche i ponti e non solo gli aeroporti.

A tu per tu con la “casta”, capisce anzitutto due cose. La prima: è raro che i migliori italiani facciano politica. La seconda: l’accademia dell’antipolitica è più facile della politica militante. E poi: che le lobbies attraversano partiti e correnti, che i legislatori spesso non si documentano, che in parlamento non ci sono sogni alla Luther King.

Montanelli raccomandava a Guiglia: devi far parlare i fatti. Forse per questo lui oggi si interessa prevalentemente di lingua italiana. E fa parlare i fatti in ottimo stile. A Roma o a Milano, in Italia o in giro per il mondo, accanto a Lilli Gruber su La 7 in “Otto e mezzo”. E ora, stessa rete, in “Prossima fermata”, il suo programma serale di interviste. Condotto in grande stile e indipendentemente dal piede con cui, di mattina sul tardi, sia sceso dal letto o dall’aereo.

   

 
     
HOME