JOSÉ MUJICA è il nuovo presidente
dellUruguay. LHotel Radisson, gigantesco,
guarda verso un edificio dove domani inizierà un summit.
Gli attori di questo e altri eventi di spicco
impegneranno tutte le stanze dellhotel. Il mio
evento è lesame finale di Stato del Liceo italiano
di Montevideo, calendario australe. Così per due o tre
notti mi tocca di sloggiare al Plaza Fuerte, hotel del
centro storico che visto da fuori è molto gradevole. Ha
una facciata liberty dangolo, un portoncino con due
grappoli di lampioni e una stretta rampa daccesso
alla reception.
A sinistra del portoncino cè la vetrina di un
antiquario. Già chiuso, è quasi notte. Mi tiro dietro
la valigia. Il portiere del Plaza Fuerte la segue con gli
occhi, gradino per gradino. Mi chiede se è piena di
pietre.
Il giorno dopo torno in hotel alle sei, il negozio è
aperto. Scruto la vetrina: qualcosa si muove dietro la
tenda a pizzi che le fa da sfondo. Entro. La
proprietaria, anziana, sta chiacchierando con un coetaneo
sprofondato in una poltrona di cuoio. Mi sorride e mi
invita a dare unocchiata, lui smette di parlare e
si ritrae tra i braccioli. Mi faccio avanti.
Ci sarà una stampa di Garibaldi guerrigliero, un vecchio
almanacco, uno spartito illustrato. Niente. In compenso
non manca ciò che non compro mai: porcellane, statuette
biscuit, una rastrelliera di pipe, spille da cappello
sgangherate, unenciclopedia degli anni quaranta,
una testa di cervo con le corna allaria al centro
di un tavolo enorme, pacchi di cartoline, partiture
sbrindellate e senza figure.
In fondo, una specchiera con due batterie di cornici
poggiate di taglio contro le sue gambe. Una ventina,
dieci più dieci, impilate fronte alla parete. Mi piego e
le inclino una per una verso di me. Una del secondo
gruppo ha il retro sigillato e foderato di carta ancora
intatta. Cè il vetro originale e anche il
passepartout. La tiro fuori, la sollevo e la giro. Vedo
un bellacquerello di fine Ottocento. I portici
della piazza e linsegna a sinistra mi dicono
qualcosa. A destra cè un carro tirato da due muli
che trasporta
Mi viene un colpo. Metto giù la cornice e me la poggio
sulle scarpe. Nella specchiera vedo la tenda a pizzi, la
signora e una testa che si agita e sporge dallo schienale
della poltrona. La conversazione è ripresa, borbottano.
Poggio il quadro sul pavimento e mi inginocchio. Tiro
fuori il cellulare.
In venti giorni di Uruguay non lo userò che una volta,
quella. Accendo la lucetta. In basso a sinistra cè
scritto: Kaltern, Süd Tirol, a matita morbida. In basso
a destra la firma senza data, poco chiara e in parte
coperta dal passepartout, qualcosa come W. Lehner.
I due stanno ancora parlando. Rimetto il quadro dovera,
ne sfilo un altro e lo porto alla signora. Lolandesina?
Trenta dollari. Costano tutti uguale? Più o meno,
fa lei, taccompagno, e mi segue. Cè altro
che ti interessa?
Scelgo una crosta con un prato e due alberi, sessanta
dollari, poi le mostro la Piazza del Mercato di Kaltern
Süd Tirol, tappando con una mano il Cavallino Bianco
dellinsegna. Centoquaranta. Dollari? E che credevi,
pesos? Non li ho, faccio io. Quanto hai? Non arrivo a
novantacinque. Non posso, fa lei. Peccato, le dico, bella
la piazza, che città e? Non lo so, fa lei, non cè
scritto? Rispondo: Non si legge bene. Ha una torcia, una
candela? Qui? No, mi spiace. Peccato, le faccio. E poi,
non mi sta in valigia. Pausa. Mi chiede: Sei italiano? Ho
visto che stai al Plaza Fuerte, vieni dal Radisson? Sì
signora (ma come ha fatto?). Altra pausa, più breve.
Figlio mio, non è Italia, questa è una piazza svizzera.
Fa lo stesso? No, non... Quanto hai? Sbudello il
portafoglio. Novanta va bene? No che non va bene, ma se
non li hai
Vado in camera a prendere i cinque
Está bien, non occorre, voi italiani siete simpatici. Luomo
della poltrona scuote la testa. Gelosia? Grazie, lo
prendo, dico alla signora. Me lo imballa?
Pago, esco con la preda nella
plastica a bolle e inciampo sul primo gradino della
rampa. Il portiere del Plaza Fuerte non commenta.