DE VILLE LIST
Don Giovanni De
Ville, il prete ladino inviato dagli Usa in Belgio per espatriare
i profughi
Le memorie. La scoperta in rete del libro finora
ignorato in Trentino
Prima la
scoperta casuale di un opuscoletto di memorie scritto negli ultimi
mesi di vita. Ora del padre originario di Moena, Giovanni De Ville,
si scopre via Internet un libro autobiografico e la sua missione
segreta durante la Grande guerra.
di
Alessandro Dell'Aira
ESTATE 1915,
GRANDE GUERRA. Don Giovanni De Ville da Moena, quarantadue anni, in
America dal 1892, ha fama di grande esperto in studi sociali, in
particolare di immigrazione europea negli Stati Uniti. La Germania
ha invaso il Belgio e lo occupa militarmente da quasi un anno.
Laggiù c'è bisogno di qualcuno che coordini l'espatrio di donne e
bambini e li aiuti a imbarcarsi in Olanda per raggiungere i parenti
negli Usa. Ma la frontiera del nord è chiusa da tempo. La missione
si presenta alquanto rischiosa in tutte le sue fasi: i mille morti
del «Lusitania», affondato dai sottomarini tedeschi, sono un incubo
per tutti. Di ritorno da quell'inferno, nel 1918, il sacerdote
pubblica a New York le proprie memorie di guerra, rimaste finora
stranamente ignorate in Trentino: «Back from Belgium», la storia
segreta di tre anni passati in quelle terre neutrali e martoriate,
di cui i tedeschi si servirono per aggredire la Francia. Lo scorso
novembre, sulle colonne di questo giornale, abbiamo riassunto la
vita di don De Ville con l'aiuto di un documento di prima mano: una
sua breve autobiografia illustrata, scritta in inglese a Fiera di
Primiero pochi mesi prima della morte e pubblicata a Trento, ad
esequie avvenute, nel 1933.
Abbiamo rintracciato via Internet
e acquistato una copia di «Back from Belgium» presso un antiquario
della Pennsylvania. Da queste intense 268 pagine, e dalle immagini
fuori testo, ci siamo fatti un'idea della personalità di De Ville.
La sua strada s'incrocia a Bruxelles, in un giorno d'ottobre del
1915, con quella di Edith Cavell, l'infermiera inglese giustiziata
come spia dai tedeschi per essersi votata a una missione ancora più
ardua: favorire il passaggio in Olanda, al di là dalle linee
nemiche, di centinaia di militari suoi compatrioti rimasti per mesi
intrappolati in Belgio dopo la battaglia di
Mons.
Fu il «Chicago
Herald», in accordo con la Belgian-American Alliance, a proporre che
De Ville si recasse ufficialmente prima in Olanda e poi in Belgio
come suo corrispondente, con le credenziali del Dipartimento di
Stato. Il governo informò l'ambasciata tedesca a Washington e il
console tedesco a Chicago dell'appello presentato da 187 famiglie
belghe residenti negli Usa. I diplomatici di Gugliemo II, pur non
gradendo l'iniziativa, non si opposero. Perché fu inviato proprio
De Ville, che non conosceva il francese? A nostro parere, perché era
uno studioso di prestigio, nato in terra d'Austria e di formazione
italiana, già parroco di comunità cattoliche nelle zone carbonifere
della Pennsylvania e collaboratore di un belga, padre Julius DeVos,
presidente della Catholic Colonization Society di Chicago. Su quella
scelta, forse, influì il suo cognome ladino dal suono francese. Un
americano, al suo posto, probabilmente non sarebbe stato
gradito.
Il 30 agosto 1915, a due mesi dal disastro del
«Lusitania», De Ville salpa per Rotterdam da New York. Da più di tre
settimane Edith Cavell è rinchiusa nella prigione di St. Gilles.
Forse a causa della protezione che gli americani le stanno
garantendo, e del guastarsi delle già compromesse relazioni tra
Stati Uniti e Germania, la legazione Usa in Olanda non è più in
grado di procurare a De Ville un lasciapassare. Lui decide di
prendere il treno per Colonia e va a Berlino, a farsi autorizzare
dal Ministero degli esteri tedesco. I servizi segreti del Kaiser lo
scambiano per l'inviato del «New York Herald» (non del «Chicago
Herald»), quotidiano inviso al governo tedesco. Dopo due settimane,
e con l'impegno di non portare notizie fuori dal Belgio senza
avvertire la censura, De Ville è finalmente autorizzato a recarsi a
Bruxelles. Il Belgio gli appare come una grande prigione, la
capitale soprattutto. L'Olanda e la libertà sono oltre quei trespoli
avvolti dal filo spinato elettrizzato, i micidiali cavalli di
Frisia. Nelle Fiandre l'atmosfera è pesantissima. Il cibo è
razionato, i camini non fumano. Il Belgio, gran produttore di
carbone, è nudo di fronte al mondo. Una tonnellata di carbone vale
ormai cifre enormi. I «diavoli verdi», così i belgi chiamano i
soldati tedeschi, vanno in giro a requisire oggetti di zinco e
monete di nichel. A fine settembre del 1915, De Ville ottiene un
permesso di tre giorni per recarsi nelle Fiandre. Consulta gli
indirizzi in suo possesso, rintraccia gli interessati e organizza il
rilascio dei permessi d'espatrio. Ma una volta raggiunta l'Aia,
scopre che dagli Usa non è ancora giunto l'accredito per l'imbarco e
si ritrova con più di quattrocento persone a carico. Nel giro di tre
ore ottiene fiducia e risolve il problema. A Bruxelles, il giorno
prima di partire per l'Olanda con il gruppo, De Ville si imbatte nei
manifesti che annunciano l'esecuzione di Edith Cavell. I dettagli
sul caso gli saranno riferiti al ritorno. La Cavell, volontaria,
insegnava in una scuola per infermiere della città. De Ville si
informa presso una delle sue allieve, che gli consegna una delle
ultime lettere scritte in carcere da Edith. Ma sebbene nel libro se
ne annunci la trascrizione, il testo della Cavell non c'è. Da una
relazione del ministro americano Brand Whitlock, scritta a guerra
finita nel 1919, risulta che molte sue lettere, filtrate dal carcere
e in mano tedesca, dovevano ancora essere consegnate ai destinatari.
Whitlock afferma di aver dato ai tedeschi la sua parola: una volta
consegnate, quelle missive non sarebbero state pubblicate. Forse è
questa la ragione dell'omissione nel testo di De
Ville.
|
|
|
Londra. Il Monumento a Edith Cavell,
tra la National Gallery e St.
Martin-in-the-Fields | |
|
La relazione di Whitlock è
reperibile in rete: http://phobos.spaceports.com/~agracier/Cavell/Cavell_00.htm
Dato il successo della
prima missione, se ne organizza una seconda con una lista di 1500
nomi, su richiesta di cittadini belgi residenti in vari stati degli
Usa e perfino in Canada. Ma il ruolo di De Ville si fa sempre più
ingrato anche presso i belgi: come inviato di un paese straniero
neutrale, si mantiene in apparenza equidistante ed è accusato talora
di essere favorevole all'una o all'altra parte. In realtà
garantisce una fitta corrispondenza tra parenti, anonima e cifrata,
dalle Fiandre a Bruxelles. In qualche caso, per ragioni umanitarie,
è coperto da una persona nota agli occupanti. Da certe allusioni di
De Ville, sembra si tratti del suo interprete Bayer, un ex ufficiale
tedesco. Bayer è ritratto seduto accanto a De Ville al centro di una
delle foto del libro. Molto anziano - ha combattutto la guerra del
1866 -, ha moglie e figli cittadini
belgi.
Nel febbraio del 1917,
poco prima che gli Usa dichiarino guerra alla Germania, il cardinale
Désiré Joseph Mercier, arcivescovo di Malines, caposcuola
dell'Unione Internazionale di Studi sociali cristiani, affida a
padre De Ville, l'«american priest» che sta per dire addio al
Belgio, un messaggio per il presidente Woodrow Wilson. Il
presidente riceve De Ville alla Casa Bianca e nel mese di luglio
risponde al cardinale Mercier, menzionando con simpatia il latore
della lettera. Quando esce il libro la guerra non è ancora finita.
Anzi, è scritto nell'ultima pagina, potrebbe durare ancora a lungo.
L'autore non ha mai ricordato le proprie origini ladine, né il
presente di guerra che interessa le terre da cui è partito nel 1892.
Sarebbe stato fuori luogo. Father Jean de Ville, autore di «Back
from Belgium», ha studiato al liceo Prati di Trento ma ormai da
tempo è un prete americano dal nome francese: la persona giusta cui
affidare, come corrispondente di guerra, una rischiosa missione
oltre l'Atlantico, in un paese occupato dai tedeschi, tra le rovine
di Lovanio, l'affondamento del Lusitania e il sacrificio di Edith
Cavell.
|
Un prete
nella
Chicago di Al
Capone
|