NOI RAGAZZI DELLE QUATTRO CLASSI SECONDE, già da un anno stiamo collaborando con uno fra gli organi internazionali più prestigiosi: l'UNESCO. Nel corso del mese di ottobre 2000 abbiamo aderito al progetto di «prima alfabetizzazione informatica riguardante il patrimonio culturale UNESCO»; si trattava di conoscere in maniera più approfondita i compiti di quest'organismo e di sviluppare due ricerche: una sul patrimonio culturale della ex-Jugoslavia; un'altra sulla storia della tratta degli schiavi (Transatlantic Slave Trade).

Gli obiettivi formativi di questo lavoro erano l'integrazione dei ragazzi all'interno delle rispettive classi e dell'Istituto; l'acquisizione di abilità comunicative di base in lingua inglese e della pratica di utilizzo del PC e di Internet in particolare; la promozione e il sostegno di una formazione umanistica, con particolare attenzione rivolta al mondo dell'arte e ai diritti universali dell'uomo. All'inizio ci sono stati forniti chiarimenti relativi ai nostri compiti all'interno del progetto; poi abbiamo lavorato divisi in classi, per la raccolta del materiale; quindi abbiamo potuto approfondire le tematiche e produrre delle ricerche individuali. Nel mese di giugno il lavoro era concluso, pubblicato in rete, presentato all'Istituto, al Sindaco del paese, al Sovrintendente Scolastico
e al Presidente della Provincia di Trento.

Abbiamo continuato anche quest'anno a tenerci informati sulle attività scolastiche patrocinate dall'UNESCO tramite i giornalini periodici e il sito Internet, così abbiamo appreso che in Norvegia una scuola come la nostra aveva collaborato alla produzione di un libro sulla tratta degli schiavi tra Africa, America ed Europa. Non si trattava di una storia totalmente inventata, ma di un misto fra storia ed invenzione in cui la seconda aiutava a far luce sulla prima e ad avvicinarla a noi, portandola «a galla»…


Nel 1974, un gruppo di sommozzatori norvegesi, durante un'immersione, scorge, poco al largo delle coste di Arendal in Norvegia, nascosti da alghe e detriti, delle enormi zanne d'elefante e dei resti riconducibili ad una nave. Negli antichi archivi navali si trovano dei documenti in cui si attesta che una nave negriera, appartenente al regno di Danimarca e Norvegia, dopo il 1750, era affondata poco al largo delle coste danesi. Si risale al nome della nave: Fredensborg. Questo ritrovamento costituisce un'importante fonte per la conoscenza delle rotte del traffico degli schiavi africani. Le ricerche forniscono anche notizie riguardanti l'equipaggio della nave e alcune notizie sui suoi viaggi. Grazie al Museo Marittimo Norvegese e all'Aust-Agder Museum, tra il 1975 e il 1977 vengono condotte campagne archeologiche subacquee. L'unica struttura intatta era il fondo della stiva, nella quale sono stati trovati vari oggetti, tra cui un sigillo per chiudere le lettere, raffigurante una colomba, un ramoscello d'ulivo e la scritta «Peace and Love» e degli ossicini, che diventeranno i legami tra l'invenzione e la storia di Erich Ancker, un marinaio della Fredensborg di cui è dimostrata la reale esistenza. Uno dei tre sommozzatori, Leif Svalesen, in collaborazione con il Museo Marittimo Norvegese, decide di scrivere un libro che narra l'ultimo viaggio della fregata Fredensborg; nasce così il soggetto del racconto a fumetti «The Slaver Fredensborg».

Il nostro preside si è messo in contatto con l'UNESCO e si è fatto mandare alcune copie di questo libro in lingua inglese. Noi lo abbiamo letto, ci è piaciuto e abbiamo pensato di tradurlo in italiano, con l'ambizione di farlo conoscere ai nostri compagni e di metterlo a disposizione di altre scuole. Ognuno di noi aveva il compito di tradurre una pagina, seguendo determinate indicazioni relative al linguaggio dei fumetti e all'impostazione dei dialoghi. Terminata quest'operazione, il materiale è stato visionato dai professori di lingue e di lettere.

Il testo è stato quindi inviato alla casa editrice, la quale ha messo a disposizione i suoi laboratori ad alcuni di noi per farci capire come funziona il processo di stampa. La realizzazione di questo lavoro è stata programmata in modo dettagliato e il coinvolgimento della casa editrice ci ha indotti a fissare e a rispettare i termini di consegna; questo «modus operandi», per noi ragazzi purtroppo poco usuale, ci ha avvicinati al mondo del lavoro ed ai suoi ritmi. Inoltre abbiamo svolto in classe un'attività modulare sulla schiavitù, come fenomeno storico e come condizione umana che si presterà ad ulteriori approfondimenti anche nel corso dei prossimi anni di studio. Grazie ad Internet, inoltre, abbiamo scoperto uno dei luoghi interessati al fenomeno delle deportazioni di schiavi: l'isola di Gorea, situata poco al largo della costa senegalese. Gorea fu uno dei punti di transito dove gli schiavi prigionieri venivano raccolti e quindi imbarcati.


   















La nostra sensibilità riguardo a queste importanti tematiche è notevolmente cresciuta. Speriamo che i lettori, anche grazie al nostro lavoro, non dimentichino questo fondamentale capitolo della storia che ha coinvolto milioni di esseri umani, per non ripetere mai più gli errori commessi in passato. L'attenzione e la cura che abbiamo dovuto prestare e il fatto di lavorare per una causa non solo teorica, ma pratica, quale la pubblicazione di questo libro, ci sono stati di grande aiuto e hanno stimolato l'acquisizione di un «saper fare». Tutti ci siamo impegnati al massimo per poter dire: «È anche merito mio».






P.S. «Ciao»: dal veneziano «s-ciavo», schiavo. «S-ciao voso» era una forma di saluto. Anche nel nostro dialetto si dice «e s-ciao» (=e ciao) per indicare la conclusio-ne definitiva di qualcosa.