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..."Favelas,
slums e bidonvilles hanno scambi
comunitari superiori a quelli dei
quartieri
pianificati
. È una
riflessione di Lina Bo, milanese,
in Brasile dal 46, apparsa
nellagosto del 1974 su una
nota rivista italiana di
architettura. La replica di Bruno
Zevi fu banale e paternalista:
Con Lina Bo Bardi non si ha
mai voglia di polemizzare...
specie da quando vive in Brasile,
non tollera più le acrobazie
intellettuali europee,
soprattutto italiane.
San Paolo, 27 gennaio 2012.
Stefano Boeri, docente di
progettazione urbanistica al
Politecnico di Milano, già
direttore di Domus e
oggi di Abitare,
esperto di molteplicità urbana,
assessore milanese alla cultura,
moda e design della giunta
Pisapia, si esprime con la stessa
franchezza di Lina. È venuto per
la Jornada da
Habitação, a inaugurare
São Paulo Calling,
la mostra di cui è curatore per
conto della Secretaria de
Habitação dello stato di San
Paolo (Sehab). São Paulo
Calling è il punto di
arrivo di un anno di ricerche di
équipe sullinformale
urbano, e punto di partenza di un
programma molto più ampio.
La mostra, di impostazione
accessibile anche ai non addetti,
dà spazio a sei aree di San
Paolo (São Francisco, Cantinho
do Céu, Bamburral, Heliópolis,
Paraisópolis e Centro) ma
allarga il campo a Mumbai,
Bagdad, Mosca, Nairobi,
Medellín, Roma. Con un embrione
di manifesto, segnala
lurgenza etica e politica
del prendersi cura di
queste realtà, per lasciarsi
alle spalle sessantanni di
indifferenza prima, e condanna
poi. È paradossale, ha detto
Boeri rivolgendosi al pubblico
giovane e numerosissimo del
Centro Cultural São Paulo, che
in tutto il mondo, negli stessi
anni in cui si ragionava sui
modelli di città nuova, vi si
sia stato un gravissimo vuoto di
attenzione per il fenomeno
nascente dellinformale
nelle città. In questi
insediamenti oggi vive il 33 per
cento degli abitanti urbani del
pianeta. Se la popolazione urbana
oggi ammonta a circa tre miliardi
e mezzo di persone, cioè a più
del 50 per cento della
popolazione mondiale, ne consegue
che i cittadini
informali sono più di un
miliardo e mezzo, e saranno più
di due miliardi nel 2050.
Quando allindifferenza è
subentrata la condanna, la
reazione è stata di aggredire il
fenomeno come se fosse un cancro,
per limitarlo e ridurre a formale
linformale. Senza
considerare che linformale
si organizza molto più
rapidamente degli enti locali e
della loro capacità di
pianificazione. Dimenticando che
si tratta, nel bene e nel male,
dei luoghi più trasparenti della
civiltà contemporanea. Nella
legalità e
nellillegalità. La favela,
priva di spazi di mediazione
interni, è una città esacerbata
di stanze affastellate e
moltiplicate allinfinito.
Non è un feticcio né un
dormitorio, come tanti quartieri
delle cinture metropolitane, ma
un luogo dove si produce, e dove,
come aveva acutamente osservato
Lina Bo a metà degli anni
settanta del secolo scorso, hanno
luogo scambi superiori a quelli
dei quartieri pianificati.
Prendersi cura
dellinformale urbano, ha
concluso Boeri, significa
rinunciare alle ricette chiuse e
agli editti, per studiare il
reale e descriverlo. Significa
preparare un Atlante mondiale e
altri strumenti che possano
agevolare il confronto tra
tecnici e politici. Significa
favorire soluzioni congrue, come
gli orti urbani e le
microimprese, mutuando dalla
botanica la pratica operativa
degli innesti.
Nel bel fascicolo distribuito al
pubblico, Ricardo Pereira Leite
osserva che se gli urbanisti sono
responsabili delle teorie che
portano alle soluzioni, i
residenti in questi insediamenti
urbani ne condividono le
responsabilità, in quanto
operano direttamente nelle aree
studiate, parte integrante della
città contemporanea. Il
dibattito non deve limitarsi al
campo accademico: non si tratta
di pensare a un nuovo modello di
città, ma di aiutare un
ramo a crescere perché anche gli
altri crescano, sotto un
sole che illumini tutti.
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